Onorevoli Colleghi! - I dati dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) confermano che oltre 8 milioni e mezzo di pensionati vivono con un reddito inferiore a 750 euro mensili. Più della metà non raggiunge i 516 euro.
      Questa situazione si è aggravata negli ultimi anni perché il meccanismo di indicizzazione delle prestazioni previdenziali, sganciato dall'incremento di produttività del Paese (riforma Amato del 1992), non è riuscito a impedire una progressiva perdita del potere di acquisto delle pensioni che in dieci anni ha sfiorato il 20 per cento.
      La maggiore fonte di risparmio previdenziale realizzata con le riforme che si sono susseguite negli ultimi quattordici anni è peraltro proprio quella deindicizzazione rispetto ai salari, che ha prodotto, dal 1993 ad oggi, una quantità di denaro assai notevole.
      L'adeguamento della misura dei trattamenti pensionistici viene effettuato, a decorrere dal 1o gennaio 1994, sulla base della disciplina dettata dall'articolo 11 del

 

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decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503; tale normativa si applica sia ai trattamenti dell'assicurazione generale obbligatoria sia a quelli delle forme di previdenza sostitutive ed esclusive. In quest'ultima categoria rientrano i lavoratori pubblici.
      La perequazione, ai sensi del citato articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992, si calcola sulla base del solo adeguamento al costo della vita, con cadenza annuale ed effetto dal 1o gennaio dell'anno successivo: all'importo della pensione si applica la percentuale di variazione determinata rapportando il valore medio dell'indice ISTAT, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente.
      La rivalutazione è peraltro differenziata a seconda delle diverse fasce d'importo del trattamento pensionistico: 100 per cento per la fascia fino a tre volte il trattamento minimo annuo INPS; 90 per cento per lo scaglione compreso fra tre e cinque volte il parametro anzidetto; 75 per cento per la quota eccedente.
      L'articolo 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (collegata alla legge finanziaria per il 1999) ha poi disposto che a decorrere dal 1o gennaio 1999 il meccanismo di perequazione automatica operi tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dallo stesso soggetto. Pertanto, ai fini del meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni dei titolari di più trattamenti pensionistici, erogate anche da enti diversi, si prevede che il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applichi per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi e aggiuntivi di cui all'articolo 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'aumento di rivalutazione automatica dovuto viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo.
      Il predetto articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992 ipotizza peraltro anche una diversa, eventuale, modalità di perequazione, legata all'effettivo andamento dell'economia, disponendo, al comma 2, che «Ulteriori aumenti possono essere stabiliti con legge finanziaria in relazione all'andamento dell'economia», tenendo comunque conto dell'obiettivo di stabilizzare la spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo (PIL), ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421. L'articolo 1, comma 33, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha poi introdotto un ulteriore periodo con il quale si dispone che, a decorrere dal 2009, gli aumenti citati vengono stabiliti «nel limite di un punto percentuale della base imponibile a valere sulle fasce di pensione fino a lire dieci milioni annui».
      I diversi meccanismi di perequazione automatica che si sono succeduti nel tempo non hanno però impedito, soprattutto nei periodi in cui era presente una forte inflazione, come gli anni '70-'80, il verificarsi del fenomeno delle cosiddette «pensioni d'annata», in base al quale lavoratori di pari livello retributivo e di pari anzianità contributiva, posti in quiescenza in anni diversi, percepiscono trattamenti previdenziali notevolmente diversi tra di loro. I lavoratori in servizio riescono infatti a recuperare parte del potere di acquisto perduto mediante la contrattazione collettiva, possibilità che è invece preclusa ai lavoratori in quiescenza.
      Il legislatore è intervenuto più volte in materia, rivalutando volta per volta le prestazioni pensionistiche liquidate in periodi specificamente individuati dalle leggi stesse.
      L'adeguamento automatico delle pensioni agli incrementi retributivi, in passato previsto per talune forme pensionistiche e denominato «clausola d'oro», è successivamente venuto meno per effetto dell'articolo 59, comma 4, della legge 27
 

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dicembre 1997, n. 449, in base al quale, a decorrere dal 1o gennaio 1998, trova esclusiva applicazione l'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, in materia di perequazione automatica.
      Escludendo l'indicizzazione automatica delle pensioni alle retribuzioni, e avendo ben presente che le priorità in questo campo sono altre (le pensioni dei giovani precari assunti con contratti atipici; i lavoratori impiegati in attività usuranti), rimane il problema della consistente perdita del potere di acquisto delle pensioni nonché della riduzione relativa del reddito nazionale distribuito alla popolazione anziana (se la percentuale del PIL relativa alla spesa pensionistica rimane costante, aumentando la percentuale della popolazione anziana il risultato è inevitabile). Si propongono pertanto i seguenti interventi:

          a) un «paniere» ISTAT ad hoc per le spese delle famiglie di cui sia capofamiglia una persona con più di sessantacinque anni di età, con il quale calcolare la rivalutazione annuale delle pensioni;

          b) abrogare (o perlomeno mitigare) gli scaglioni di reddito per la rivalutazione annuale delle pensioni rispetto al costo della vita;

          c) rendere effettivamente operante il meccanismo (previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992) che attribuisce ulteriori aumenti, stabiliti ogni anno con la legge finanziaria, in relazione all'andamento dell'economia, modificando la norma già citata introdotta dall'articolo 1, comma 33, della legge n. 335 del 1995;

          d) parificare la deduzione riconosciuta ai fini IRPEF ai redditi da pensione a quella riconosciuta ai redditi da lavoro dipendente (incrementandola da 7.000 a 7.500 euro).

 

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